Lo stress, come siamo abituati a descriverlo, come la sensazione di essere “sul filo del rasoio”, la sensazione di “non farcela più”, le varie somatizzazioni in questo o quell’organo, non esiste come evento oggettivo; è il nostro modo di reagire agli stimoli, che ci rende stressati.
Tutti coloro che studiano lo stress (medici, psicologi, sociologi ecc) sono concordi nell’affermare che non esiste l’evento stressante; esiste piuttosto la risposta stressante. Questo è confermato dall’esperienza: nelle stesse situazioni, alcuni rimangono indifferenti mentre altri reagiscono con i sintomi di distress (il distress è l’eccesso di stress).
A cosa è dovuta questa differente risposta? Dipende dal tipo di pensieri che associamo ad una specifica esperienza: se i nostri pensieri sono di conflitto, di non accettazione, di rifiuto, di timore, di paura di fronte a ciò che ci capita, ovviamente attiveremo automaticamente risposte neurovegetative di allarme, di allerta, di attivazione delle funzioni organiche, come per predisporci alla lotta o alla fuga. Sopratutto quando questa situazione si sarà ripetuta, nel tempo, si arriverà al distress.
Viceversa, se i nostri pensieri saranno di comprensione, di tolleranza, di accettazione, di sintonia, il nostro sistema neurovegetativo rimarrà disattivato, o meglio impegnato, in condizioni di riposo, di tutte le nostre funzioni organiche.
Intervenire quindi sui nostri pensieri, risulta la carta vincente per la prevenzione del distress o per la sua dissoluzione.
Molti si chiederanno, come si faccia ad intervenire sui nostri pensieri. Pur non essendo una cosa difficile da realizzarsi, richiede una certa pratica, che, se portata avanti con perseveranza, prima o poi ci farà acquisire il controllo sul nostro dialogo interno. Ci sono tanti modi per mantenere lo stress entro l’ambito di quella fisiologica attivazione delle nostre funzioni che la relazione con l’ambiente esterno comporta: la meditazione, le tecniche e le pratiche che portino ad un rilassamento psicofisico, le varie psicoterapie, il counseling, il life-coaching ecc.
In altri articoli approfondiremo la natura di queste pratiche.
Per dare un consiglio di immediata applicazione, faccio questa riflessione: di solito, per descrivere uno stato di distress (che, lo ricordo, è uno stress che ha superato il nostro livello di tolleranza), diciamo “Sono stressato”. Ebbene, utilizzare questa espressione, con l’uso dell’ausiliare “essere”, è il modo peggiore di descrivere la nostra situazione; infatti, tutte le volte che usiamo l’ausiliare essere, sia nell’ “io sono”, sia nel “tu sei”, ci portiamo sul livello della identità nostra o di quella del nostro interlocutore. Quando una persona viene toccata, nella sua identità, subisce una specie di aggressione che non sembra lasciare scampo, come un giudizio inappellabile: è come se dicessimo “io sono così e non posso essere che così” oppure “tu sei così e non puoi essere che così”. Ora, essere “inchiodati” in una simile condizione di persona stressata, toglie anche la speranza di poter contare su delle risorse per uscire da questa condizione.
Altra cosa è dire: “Mi sento stressato”. Se attribuisco l’aggettivo “stressato” alle mie sensazioni, essendo queste, per loro natura, mutevoli, è come se mi dicessi “Ora mi sento così, ma potrei presto sentirmi sereno”. In questo caso rimango aperto alla speranza e mi sento stimolato a cercare il giusto antidoto che cambi questo mio modo attuale di sentirmi.
Stiamo parlando di modificare la nostra risposta cognitiva agli stimoli, cioè il nostro modo di descrivere ciò che accade fuori, ma anche dentro di noi.
Se per caso sento uno momentaneo senso di sbandamento, posso fare due cose: allarmarmi, chiedendomi cosa mi stia succedendo oppure minimizzare, inserendo questa sensazione nelle mille sensazioni che la vita stessa del nostro organismo ci invia.
La cognizione, cioè i pensieri che seguono uno stimolo ed il giudizio su di esso, determinano la natura della nostra risposta, stressante o non stressante.
Abbiamo ora capito bene che il distress non è là fuori, bensì qui, dentro di me. Ed è qui, dentro di me, che va cercata la sua risoluzione! Questa precisazione mi sembra fondamentale per orientare la scelta anti-stress nella direzione giusta: non serve intestardirsi nel cambiare le situazioni esterne; molto più utile è attivare risorse interiori, per recuperare quel controllo sulle nostre reazioni che ci farà sentire di avere potere di controllo sulla nostra vita. E la nostra autostima ne uscirà rinforzata.
Occorre riprogrammare il nostro modo di pensare, preferendo pensieri positivi, di armonia, di tolleranza, di misericordia, di amore.
Come ho scritto nel mio libro “Vivere alcalini, vivere felici”, l’eccessiva acidificazione dell’organismo, provoca, nelle sue manifestazioni cerebrali, quella che io chiamo “mente acida”: la mente acida è una mente in stato di distress continuo; realizzare un “progetto alcalinizzante” nella propria vita, ci darà una “mente alcalina”, rasserenata, pacificata e finalmente libera dalla penosa sudditanza al distress.