Nella prima parte del mio articolo, sui rapporti fra equilibrio acido-base della matrice extracellulare e gestione della salute (e/o della malattia), ho accennato ai risvolti importanti che questa questione ha per lo sportivo. Vorrei un po’ approfondire questi risvolti.
Intanto, vorrei fare una precisazione terminologica: molti si sentono “sportivi” solo perché parlano spesso di sport o perché un paio di volte alla settimana fanno un’oretta di attività fisica.
Per “sportivo”, intendo una persona che, una volta che abbia compreso il ruolo fondamentale che ha l’attività fisica nel mantenimento della salute fisica e psichica, si dedichi con assiduità, quotidiana, ad uno sport, agonistico o non.
Ovviamente, il livello di riflessione che va attuato, è diverso se si parla di sport ludico o agonistico. Il primo non viene praticato in funzione di gare, ma solo come pratica salutistica; il secondo presuppone un impegno intenso, sul piano psicofisico, e scelte comportamentali ben precise, sull’alimentazione e sulla integrazione alimentare.
Essendo io stesso uno sportivo agonista, nel ciclismo cicloamatoriale, non senza stupore assisto ad una prassi molto diffusa: non ci si rende conto, da parte della maggior parte dei praticanti sport agonistici, sopratutto amatoriali, che quando alla macchina-corpo umano si chiedono prestazioni più o meno esasperate, non si può prescindere dall’interrogarsi su quali siano i comportamenti alimentari da assumere e da quali integratori alimentari ricevere quel plus di aiuto di cui l’organismo ha bisogno. Mentre il concetto di allenamento muscolare come mezzo di miglioramento della propria performance si dà per scontato, altrettanto non è per l’alimentazione e l’integrazione alimentare da seguire.
Non esiste, fra gli sportivi, professionisti e non, una seria cultura della buona alimentazione e della opportuna integrazione
alimentare, e laddove si sia convinti che questa debba esistere, tanto da farsi seguire da medici sportivi e/o dietisti-nutrizionisti, si assiste ugualmente a errori grossolani che finiscono col ridurre le prestazioni muscolari e in senso lato la resa atletica.
Uno degli errori più ricorrenti, che solo nell’ambito del bodybuilding e della pesistica viene evitato, per il lavoro intenso che viene fatto sulla massa muscolare, è una carenza di apporto proteico che, a lungo andare, irrigidisce il metabolismo in un atteggiamento catabolico, certamente “nemico” di un atleta che voglia ottenere il meglio da se stesso.
Nell’attuare questo errore, noi italiani siamo più a rischio, in quanto ci sentiamo depositari della cosiddetta “dieta mediterranea”, che però, grazie a campagne informative approssimative, ha finito per essere assimilata con “pasta, pane, pizza e un po’ di verdure, legumi ed olio extravergine di oliva”. Il risultato è che, il facile instaurarsi di regimi alimentari sbilanciati dalla parte dell’assunzione di carboidrati rispetto agli altri elementi (proteine e lipidi), genera un iper-insulinismo, che sappiamo essere forse l’errore alimentare più dannoso alla salute; a questo si aggiunge, e questa è una nozione che ci viene dalla visione acido-base della salute, che i cereali (da cui derivano pasta, pane e pizza) sono acidificanti e quindi portatori di una miriade di possibili effetti nocivi sulla salute che nel mio libro “Vivere alcalini, vivere felici”, elenco con dovizia di particolari. La convinzione più diffusa, un vero e proprio falso mito, è che carboidrati = energia, e che pertanto molti carboidrati = molta energia.
Le conoscenze fisiopatologiche che ruotano attorno alla dieta acido-base, sconfessano sopratutto la seconda uguaglianza: molti carboidrati non aumentano assolutamente l’energia dello sportivo, ma anzi la diminuiscono, per la stanchezza che insorge quando la matrice extracellulare va in acidosi cronica. Questa acidosi cronica inoltre, irrigidisce i muscoli ed i relativi tendini, i ligamenti e le fasce connettivali, predisponendo l’atleta a stiramenti e rotture tendino-muscolari e ligamentose. Un esempio per tutti: osserviamo la frequenza con cui, nella nostra nazionale
italiana di calcio e nei nostri club, si osservano stiramenti muscolo-scheletrici, rotture e “tendiniti” (secondo me c’è un abuso del suffisso “ite”; questo infatti, porta verso una infiammazione, che però non si trova quasi mai, in quanto per parlare di infiammazione occorre la soddisfazione
dei suoi classici segni, cioè tumefazione, arrossamento, calore, dolore, funzionalità alterata…chi ha esperienza di questo tipo di problematiche nello sportivo, sa che nell’abusata diagnosi di “tendinite”, ad esempio, mancano quasi sempre l’arrossamento ed il calore, segni cardine della diagnosi di infiammazione. Si tratta, invero, di casi di tendinopatia da acidosi, entità clinica purtroppo ancora molto poco conosciuta): ai calciatori vengono dati in modo quasi ossessivo pasta, pane, marmellata, crostate, maltodestrine ecc…il risultato è che l’organismo ed i muscoli si acidificano, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti (facile fatigabilità, crampi e facilità a lesioni tendinomuscolari).
Muscoli rigidi, soggetti a crampi e stiramenti, tendini fragili, ligamenti pronti a distorsioni, non sono disturbi ineluttabili per lo sportivo, ma inquadrabili, sì in errori di allenamento, ma anche in una errata alimentazione ed integrazione alimentare. Una Medicina Sportiva moderna ed una pratica sportiva consapevole, per le ragioni sopra esposte, non possono prescindere dalla conoscenza dell’equilibrio acido-base della matrice extracellulare.
Dott. Andrea Grieco